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mercoledì 28 luglio 2010

SIAE inefficiente e costosa, uno studio lo conferma

SIAE non solo non è in grado di fare adeguatamente gli interessi dei detentori di copyright, ma in regime di monopolio (legale) risulta pure troppo costosa. Questa l'indicazione finale che si desume da un interessante rapporto (L’intermediazione dei diritti d’autore) dell'Istituto Bruno Leoni. In pratica analizzando lo scenario comunitario risulta in maniera piuttosto lampante che l'inefficienza SIAE costa svariati milioni di euro.
L'autore Diego Menegon spiega che "ciò che cambia da paese a paese è il modello di erogazione dei servizi di intermediazione per la tutela e la gestione dei diritti d’autore". Ecco, questo è proprio lo spazio di manovra che è stato riservato in maniera esclusiva alla Società italiana degli autori ed editori (SIAE).

Copyright Collecting Society

Dove è previsto "un contesto aperto alla concorrenza da più associazioni, agenzie e società che, in regime di libera attività, si specializzano in determinati settori e concorrono per guadagnarsi la preferenza di autori e fruitori delle opere tutelate" pare che la situazione sia migliore. O comunque più vantaggiosa per autori, artisti e consumatori. Di fatto l'indice di efficienza non può che essere correlato al rapporto tra ricavi e costi operativi.
Ad esempio...
facendo un confronto con il Regno Unito, "il soggetto che più si avvicina alla Siae per numeri e servizi offerti", risulta che una modalità più efficiente consentirebbe di arrivare a risparmiare ben 13,5 milioni di euro.

"Il motivo spesso addotto per giustificare gli alti costi operativi della Siae è la spesa sostenuta per vigilare, attraverso propri agenti, sull’effettiva corresponsione del dovuto. L’argomento non regge, poiché anche le CCS (Copyright Collecting Society) straniere hanno tutto l’interesse a dedicare una parte delle proprie risorse alle misure di controllo ed enforcement", scrive Menegon.
"Anzi, l’esigenza è più sentita nel Regno Unito, dove non è corrisposto il cosiddetto equo compenso per copia privata. In Italia, 59 milioni di euro, sui 484,3 totali, sono ricavati mediante l’imposizione di una tassa o tariffa (la sua natura è oggetto di dibattito) che si applica direttamente sul prezzo di acquisto di dispositivi e a memorie capaci di contenere prodotti musicali oggetto di tutela".
E dire che "questo meccanismo minimizza i costi di agenzia e di transazione e colpisce il consumatore dell’industria musicale alla fonte, già nel negozio dove acquista il proprio CD-ROM o DVD".
Insomma malgrado venga agevolata nella raccolta dei proventi attraverso un’imposizione che può dirsi parafiscale, i conti sono a sfavore della SIAE. L'ultima nota negativa riguarda le licenze concesse. "Prendiamo ad esempio una serata in un club inglese cui presenzino 500 persone. Stando alle tariffe applicate dalle due società di intermediazione (inglesi), l’esborso per il pagamento dei diritti d’autore sarà di 71,18 sterline (PPL) più  33,28 sterline (PRS), ossia 104,46 sterline (117 euro)", continua Menegon.
"Una discoteca della penisola, supponendo che mediamente ogni cliente spenda tra biglietto di ingresso e consumazioni 20 euro, dovrebbe versare alla Siae 1000 euro, quasi nove volte la spesa sostenuta dal club londinese"
"Il raffronto tra i dati di bilancio della Siae e quelli delle analoghe società britanniche evidenzia un’incidenza dei costi operativi maggiore nel caso della società italiana. Si direbbe smentita l’idea secondo cui, con l’istituzione di un monopolio legale, l’accentramento dei servizi di intermediazione procuri economie di scala e minori spese di gestione", conclude l'autore del rapporto.
"Al contrario, le società e le associazioni inglese riescono a distribuire agli iscritti una quota più elevata delle somme raccolte. Le inefficienze della Siae si riverberano sui consumatori, costretti a pagare di più lo sfruttamento dei diritti d’autore, e sugli autori, che non possono ricevere una parte consistente dei compensi introitati in relazione alle proprie opere".





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